LA CORTE DI APPELLO Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento penale contro: 1) Carnovale Salvatore, nato a Nicastro (Catanzaro) il 21 giugno 1933, residente a Carpi (Modena), via Mengoni n. 3; 2) Carnovale Patrizia, nata a Bologna il 6 dicembre 1955, ivi residente, in via Casaglia n. 34/8; 3) Carnovale Antonella, nata a Bologna il 7 marzo 1962, ivi residente, in via Casaglia n. 34/8; 4) Tusa Maurizio, nato a Palermo il 17 ottobre 1957, residente a Bologna, via Casaglia n. 34/8; 5) Innesto Giovanni, nato a Taranto il 26 agosto 1935, residente a Bologna, via A. Stoppato n. 35; 6) Farina Giorgio, nato a Ferrara il 27 luglio 1947, residente ad Argelato, via Stagni n. 3; imputati; Carnovale Salvatore, Carnovale Patrizia, Carnovale Antonella, Tusa Maurizio e Farina Giorgio: A) del reato p. e p. dagli artt. 110 e 513 del c.p. e 81 cpv, del c.p. perche' in concorso tra loro e con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso il Carnovale in qualita' di soci di maggioranza - direttamente e tramite partecipazioni azionarie nella societa' controllante Sodibo S.p.a. detentrice di oltre il 99% di azioni della controllata - della Donini International S.p.a. (esercente attivita' di produzione di macchine lavatrici e simili, Carnovale Salvatore in qualita' altresi' di membro del consiglio di amministrazione della Donini; Tusa Maurizio e Farina Giorgio rispettivamente nella qualita' del Presidente e consigliere delegato della Supermatic S.r.l. si avvalevano di mezzi fraudolenti consistiti nell'appropriarsi di una fusione di alluminio (precisamente il supporto del cestino dell'oblo') nonche' di disegni tecnici della Donini S.P.R. sui quali veniva cancellato il marchio Donini e sostituito con quello Supermatic, per utilizzarli ai fini della produzione di quest'ultima societa' direttamente o a mezzo di artigiani terzisti, con cio' arrecando turbativa nell'esercizio dell'attivita' dell'industria della menzionata Donini, deviando alla Supermatic S.r.l. tecnologia della prima. In Sala Bolognese nel novembre 1989. Carnovale Patrizia, Carnovale Salvatore, Carnovale Antonella, Fusa Maurizio, Farina Giorgio e Innesto Giovanni: B) del delitto p. e p. dagli artt. 110 e 513 del c.p. e 81 cpv, del c.p. perche' in concorso tra loro e con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, i Carnovale nella qualita' di cui al capo A) di imputazione, Tusa Maurizio, Farina Giorgio e Innesto Giovanni in qualita' rispettivamente il primo di presidente e gli altri due di consiglieri delegati della Multimax S.r.l. (Societa' costituita nel luglio 1989 a seguito di mutamento della denominazione sociale della Supermatic S.r.l.) adoperando mezzi fraudolenti consistiti nel riprodurre con identiche caratteristiche tecniche materiali di montaggio delle lavatrici Donini e nell'utilizzare ai fini della produzione della Multimax disegni tecnici Donini che venivano all'uopo fotocopiati e sui quali l'Innesto provvedeva a cancellare il marchio Donini per apporvi quello Multimax, nonche' nel diffondere tra gli operatori del settore la opinione che la Multimax facesse capo alla Donini, turbavano l'esercizio della attivita' dell'industria di quest'ultima societa', deviando alla Multimax tecnologia della stessa e stornando clientela Donini alla Multimax. In Sala Bolognese fino al dicembre 1990; C) del delitto p. e p. dagli artt. 646, 61, n. 2, e 11, 110 e 81 cpv, del c.p. perche' i Carnovale in qualita' di soci della Donini International S.p.a. come specificato al capo A) di imputazione, quindi con abuso di relazioni di autorita' rappresentate dalla detenzione di quote azionarie di maggioranza nella suddetta impresa, in concorso tra loro e con il Tusa, il Farina e l'Innesto - questi ultimi consapevoli del ruolo dei primi presso la Donini - per provocare a se' e ad altri un ingiusto profitto, con piu' azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso si appropriavano della fusione di alluminio di cui al capo A) di imputazione e dei disegni tecnici di cui ai capi A) e B) di imputazione. Con l'aggravante altresi' di avere commesso il fatto per commettere i delitti di cui ai capi A) e B). In Sala Bolognese fino al dicembre 1990; D) del reato p. e p. dagli artt. 110 e 513 del c.p. perche' in concorso tra loro i Carnovale in qualita' di soci di maggioranza direttamente e tramite partecipazione azionarie nella societa' controllante Sodibo S.p.a., detentrice di oltre il 99% di azioni della controllata - della Donini S.p.a. esercente attivita' di produzione di macchine lavatrici e simili - Carnovale Salvatore in qualita' altresi' di membro del consiglio di amministrazione della Donini, Tusa Maurizio, Farina Giorgio e Innesto Giovanni in qualita' rispettivamente il primo di presidente e gli altri due di consiglieri delegati della Multimax S.r.l. adoperavano mezzi fraudolenti consistiti nel riprodurre con identiche caratteristiche materiali di montaggio delle lavatrici Donini (o in particolare la maniglia e la cerniera dell'oblo', la sinbologia della maggior parte dei pulsanti del quadro elettrico e consistiti nell'utilizzare ai fini della produzione Multimax disegni tecnici Donini all'uopo fotocopiato e sui quali l'Innesto provvedeva a cancellare il marchio Donini per apporvi il marchio Multimax, agendo in tal modo al fine di turbare l'esercizio delle attivita' di industria del Donini. Fatto commesso in data antecedente e prossima al marzo 1990. In Sala Bolognese, accertato nel novembre 1991 in Rubiera. Il giudizio di primo grado si e' concluso con la sentenza del pre- tore di Bologna del 28 novembre 1992 il cui dispositivo e' il seguente: Visti gli artt. 533, 535 del c.p.p., dichiara Carnovale Salvatore, Carnovale Patrizia, Carnovale Antonella, Tusa Maurizio, Innesto Giovanni e Farina Giorgio colpevoli dei reati ascrittigli e, ritenuta la continuazione e concesse le attenuanti generiche equivalenti, condanna alla pena di anni uno di reclusione e L. 1.500.000 di multa Carnovale Salvatore; a mesi sei di reclusione e L. 1.000.000 di multa tutti gli altri imputati, oltre al pagamento delle spese processuali e tassa di sentenza. Pena sospesa per Carnovale Salvatore, pena sospesa e non menzione per gli altri; Visto l'art. 538 e segg. del c.p.p. condanna altresi' gli imputati al risarcimento dei danni da liquidarsi in separato giudizio, nonche' alla fusione delle spese di costituzione e difesa a favore della parte civile che liquida in complessive L. 10.000.000 per ciascuna parte civile; Visto l'art. 540 del c.p.p. concede alle stesse parti civili una provvisionale immediatamente esecutiva di L. 300.000.000 per Sara Possenti e L. 200.000.000 per ciascuna delle altri parti civili. Avverso la predetta sentenza hanno interposto appello gli imputati chiedendone la riforma sia in relazione alla pretesa punitiva sia in relazione alle domande risarcitorie delle parti civili. Gli imputati Carnovale Salvatore, Carnovale Patrizia, Carnovale Antonella e Tusa Maurizio hanno, inoltre, chiesto a questa corte di procedere in cam- era di consiglio e di pronunciare a norma dell'art. 600, secondo e terzo comma, del c.p.p. la revoca della provvisionale, o in subordine, la sospensione della provvisoria esecuzione della loro condanna al pagamento di essa e cio' in base ad un affermato grave ed irreparabile danno su di loro incombente. Le parti sono state sentite nella camera di consiglio dell'11 marzo 1993. Gli imputati hanno insistito per l'accoglimento delle loro richieste. Le parti civili hanno eccepito che non corrisponde a nessuna previsione normativa l'istanza di revoca in questa sede della condanna al pagamento di una provvisionale. L'eccezione e' fondata. Nel caso in esame gli imputati appellanti, come e' evidente ed incontroverso, sono stati condannati in primo grado al pagamento in favore delle parti civili solo di provvisionali. L'esecutivita' immediata di questo tipo di condanna, pur appellabile, e' prevista dal secondo comma dell'art. 540 del c.p.p. e con tale norma e' concatenata quella del terzo comma dell'art. 600 del c.p.p., che prevede, appunto, in relazione a quella esecutivita', derivante da una disposizione di legge, solo la possibilita' della sospensiva disposta con ordinanza in camera di consiglio dal giudice di appello. Il secondo comma dello stesso art. 600, ove si menziona la revoca, si riferisce al solo caso di sentenze con clausola esecutiva concessa dal giudice di primo grado a norma del primo comma dell'art. 540 e quella revoca, del resto, non riguarda, come e' chiaro secondo la lettera della norma e come non potrebbe altrimenti essere, la condanna in se' stessa bensi' solo la provvisoria esecuzione. L'istanza di revoca, da pronunciare con ordinanza camerale, della condanna al pagamento di provvisionali, proposta dagli imputati, risulta, quindi, inammissibile. Circa la subordinata istanza dei predetti di sospensione della provvisoria esecuzione di quella condanna, le parti civili hanno dedotto che non vi e' prova di quel grave e irreparabile danno, che solo consentirebbe l'accoglimento dell'istanza stessa, secondo la previsione del terzo comma dell'art. 600 del c.p.p. Gli imputati hanno affermato di avere gia' pagato alle parti civili L. 500.000.000, ma di trovarsi in "grave difficolta'" nel reperire le ulteriori L. 400.000.000 necessarie per completare il pagamento nell'ammontare della condanna provvisionale che e', appunto, di complessive L. 900.000.000. Essi hanno precisato che dovrebbero "svendere il proprio patrimonio immobiliare". Invero, queste mere affermazioni, e tale e' rimasta anche quella riguardante il dovere svendere, non fanno emergere la prospettiva di un danno grave ed irreparabile. In se' l'entita' delle provvisionali, in relazione alle capacita' economiche degli obbligati, quali sono implicite nelle loro affermazioni, non e' sufficiente perche' il danno sia definibile grave e soprattutto nessun fatto concreto e sicuro gli obbligati medesimi hanno potuto addurre a dimostrazione dell'irreparabilita' delle conseguenze che a loro porterebbe il completo pagamento: a tutto concedere, essi hanno dimostrato solo che l'adempimento dell'obbligazione, derivante dalla condanna, impone loro un'ovvia diminuzione patrimoniale ma non hanno affatto dimostrato che tale diminuzione non abbia prospettiva di ristoro per una qualche ragione. E' chiaro, alla stregua di quanto detto, che anche la decisione sull'istanza di sospensiva dovrebbe essere negativa. Del resto, le stesse parti istanti hanno sviluppato poco gli argomenti pertinenti a questa richiesta, dipendente dalla dimostrazione del danno grave ed irreparabile, ed hanno soprattutto criticato la sentenza, alla quale hanno attribuito molteplici errori, che ne dovrebbero determinare la riforma sia per le statuizioni penali che per quelle civili. Con riferimento a queste hanno anche ampiamente lamentato come il pretore poco o nulla si sia curato della prova del danno protestato dalle parti civili e dell'ammontare di esso e come esplicitamente abbia dichiarato di considerare la condanna risarcitoria complemento della sanzione penale, in se' poco afflittiva. Si deve osservare che gli anzidetti argomenti degli imputati, che restano ininfluenti rispetto ad una norma, che pone come unico presupposto della sospensione della immediata esecutivita' della condanna appellabile la prospettiva di un danno grave ed irreparabile, avrebbero sicura rilevanza nel caso di applicabilita' della diversa disciplina che il secondo comma dell'art. 600 del c.p.p. da' di una materia analoga. Questa norma va posta in relazione col primo comma dell'art. 540 e se ne ricava che la condanna alle restituzioni o al risarcimento del danno puo' essere dichiarata provvisoriamente esecutiva a richiesta della parte civile "per giustificati motivi" dal giudice di primo grado e che, ove cio' avvenga, il giudice di appello ad istanza del responsabile civile e dell'imputato con ordinanza in camera di consiglio puo' revocare o sospendere la provvisoria esecuzione. La norma, che stabilisce questa possibilita', non ne determina i presupposti, cosicche' la parte richiedente puo' portare allo esame del giudice di secondo grado ogni argomento idoneo a determinare la decisione ed anche, quindi, l'affermata esistenza di gravi ed evidenti errori o carenze di motivazione della condanna. Si manifesta, dunque, una sostanziale disparita' di trattamento circa la possibilita' di ottenere la sospensione della provvisoria (o immediata) esecuzione a seconda che questa si riferisca alla condanna al pagamento di una provvisionale sul danno o alla condanna esaustiva della domanda risarcitoria. In questa disparita' riceve un trattamento deteriore il condannato al pagamento di una provvisionale, la cui possibilita' di avere la sospensione e' limitata al ristrettissimo ambito dell'incombere di un danno grave ed irreparabile. C'e' da chiedersi se si tratti di una disparita' che derivi da una scelta legislativa motivata e nella quale si possa individuare un disegno razionale. A monte della rilevante disparita' ve n'e' un altra, alla quale si e' gia' accennato, relativa al trattamento che nei due commi dell'art. 540 del c.p.p. hanno, quanto a provvisoria (o immediata) esecuzione, la condanna esaustiva al risarcimento del danno e quella al pagamento di una provvisionale. La prima si e' visto che puo' essere dichiarata provvisoriamente esecutiva dal giudice sulla base di giustificati motivi e ad istanza di parte mentre la seconda e' sempre "immediatamente esecutiva" per disposto di legge. Anche per questa disparita' c'e' da chiedersi se abbia un fondamento razionale. Nella ricerca di una risposta riesce utile ampliare la considerazione dei dati normativi e puo' servire anche rilevare che nessuna delle norme del nuovo c.p.p., che sono state menzionate, e' ricompresa fra quelle applicabili, secondo le disposizioni transitorie, ai processi che proseguono secondo il c.p.p. del 1930 e cio' nonostante che non si riscontrino incompatibilita' evidenti. Da cio' deriva che coesistono, sia pure applicabili in processi diversi, norme profondamente dissimili circa l'esecutivita' delle pronunce sull'azione civile riparatoria esercitata nel processo penale. Il nuovo codice segna, infatti, una profonda innovazione anche in questa materia. Si tratta, pero', di una innovazone non legata al diverso complessivo disegno del processo penale bensi' a scelte specifiche, che nella loro espressione normativa, tuttavia, sono state condizionate da talune caratterizzazioni della legislazione precedente. Nel codice del 1930 non era neppure prevista la possibilita' della provvisoria esecutivita' della sentenza appellabile nei capi riguardanti l'azione civile. Solo con la legge 15 dicembre 1972, n. 773, fu aggiunto l'art. 489- bis e introdotta la possibilita' di declaratoria su istanza della parte civile della provvisoria esecutivita' del capo della sentenza di condanna di primo grado contenente l'assegnazione di una provvisionale. In quel codice, a differenza, come meglio si vedra', che nel nuovo, non era regolato il presupposto della assegnazione alla parte civile di una provvisionale nel caso di condanna generica al risarcimento dei danni e con l'art. 489- bis non fu neppure regolato il presupposto della concessione, ad istanza di parte, della provvisoria esecutivita'. Quello stesso articolo stabili' che con decisione in camera di consiglio il giudice di appello potesse, se richiesto, revocare la concessione della provvisoria esecuzione o sospendere l'esecuzione iniziata. Come per la concessione della provvisoria esecuzione cosi' anche per la revoca o per la sospensione non furono determinati i presupporti, rimessi quindi all'elaborazione giurisprudenziale, che poteva individuarne i piu' svariati. Pur senza ricostruire precedenti situazioni normative, si puo' ancora rilevare che le norme degli artt. 489 e 489- bis del vecchio codice di procedura penale sono coesistite con quelle del codice di procedura civile approvato nel 1940, regolanti la corrispondente materia. Ci si riferisce agli artt. 278 (condanna generica e provvisionale), 282 (esecuzione provvisoria), 283 (concessione e revoca della provvisoria esecuzione in appello) e 351 (provvedimenti sull'esecuzione provvisoria) nonche' 373 (sospensione dell'esecuzione della sentenza di appello). Le coesistenti norme in esame dei codici dei due riti manifestano anch'esse notevoli differenze, in gran parte non giustificabili dal fatto specifico che quelle del codice di procedura penale riguardano l'azione civile innestata nel processo penale, essendovi, comunque, nel c.p.p. una diversa disciplina dell'esecutivita' delle pronuncie sull'azione civile e di quelle sull'azione penale. Nel rito civile e' stata prevista la concedibilita' ad istanza di parte della provvisoria esecuzione con o senza cauzione delle sentenze appellabili sia per la certezza del titolo posto a fondamento della domanda sia per l'esistenza del pericolo nel ritardo. Nello stesso rito e' stata prevista la possibilita' di condanna al pagamento di una provvisionale "nei limiti della quantita' per cui (il giudice) ritiene gia' raggiunta la prova" ed e' previsto che sempre ad istanza della parte, che ha richiesto questa condanna, sia concessa la provvisoria esecuzione di essa "tranne quando ricorrono particolari motivi per rifiutarla". Ancora nello stesso codice e' prevista la possibilita' di un riesame ad istanza di parte, nel giudizio di appello, anticipato rispetto alla decisione del gravame, ai fini della revoca della provvisoria esecuzione o della sospensione della esecuzione iniziata. Nel codice di procedura civile del 1940 con la legge 11 agosto 1973, n. 533, sono stati novellati gli artt. 431 e 447, stabilendo la provvisoria esecutivita' delle sentenze di condanna per crediti del lavoratore e di quelle emesse in controversie in materia di previdenza e assistenza obbligatorie. Gli articoli novellati prevedono la possibilita' che il giudice di appello con ordinanza sospenda "l'esecuzione" quando dalla stessa possa derivare all'esecutato gravissimo danno. Nel panorama normativo vanno inserite le modifiche al codice di procedura civile apportate con la legge 26 novembre 1990, n. 535, tra le quali qui particolarmente interessano quelle degli artt. 282 e 283 di detto codice. Il nuovo testo dell'art. 282 e': "La sentenza di primo grado e' provvisoriamente esecutiva tra le parti". Il nuovo testo dell'art. 283 e': "Il giudice di appello su istanza di parte, proposta con l'impugnazione principale e con quella incidentale, quando ricorrano gravi motivi, sospende in tutto o in parte l'efficacia esecutiva o l'esecuzione della sentenza impugnata". Questi due articoli sono entrati in vigore dal 2 gennaio 1993, sia pure risultando ancora applicabili solo alle cause introdotte non prima di tale data (cosi' per effetto della legge 4 dicembre 1992, n. 477). Il panorama tracciato mette in evidenza come attualmente coesistano nell'ordinamento quattro complessi di norme (cinque se si include anche quello relativo alle cause in materia di lavoro e di previdenza) relativi ad analoga materia ma ognuno notevolmente o radicalmente diverso dall'altro. Si e' gia' detto che non sono rilevabili specifiche ragioni per cui le decisioni appellabili emesse in relazione ad una azione civile debbano avere trattamento diverso, quanto alla provvisoria esecutivita', se emessa in un processo civile o se emesse in connessione con un processo penale. In particolare una specifica ragione non sembra si possa individuare nel fatto che le pretese civilistiche azionabili nel processo penale siano relative al risarcimento di danni prodotti da un illecito costituente reato a restituzioni. Si tratta di pretese comunque azionabili col processo civile, ove non ricevono una disciplina differenziata. In ogni caso l'oggetto specifico della pretesa civile, azionabile nel processo penale, non ha comportato valutazioni univoche in sede legislativa, tant'e' vero che nel codice di procedura penale del 1930 non e' neppure prevista, come gia' ricordato, la possibilita' che la pronuncia appellabile di accoglimento di quella pretesa abbia provvisoria esecutivita' mentre questa possibilita' e' stata introdotta nel codice del 1988 in relazione alla esistenza di "giustificati motivi". Anche il legislatore del 1988 non ha ritenuto, comunque, di fare della immediata esecutivita' la regola. Si puo', invece, osservare che quel legislatore aveva reso piu' omogeneo il trattamento della pronuncia sull'azione civile emessa nel processo penale rispetto a quello previsto dal codice di procedura civile, la cui previsione in allora era solo di possibilita' della concessione della provvisoria esecuzione della sentenza appellabile sulla base della esistenza di "pericolo nel ritardo". A ripristinare un divario netto ed inverso tra i due codici di rito, ben oltre quello derivante dalla diversa portata delle formule "giustificati motivi" e "pericolo nel ritardo", ha provveduto nel 1990 il riformatore del codice di procedura civile, che ha introdotto come regola la provvisoria esecutivita' delle sentenze civili appellabili, regola gia' applicabile nei giudizi iniziati dopo il 2 gennaio 1993 e che dal 2 gennaio 1994 dovrebbe estendersi anche ai giudizi anteriormente iniziati. Anche su un'altro oggetto il legislatore del 1988 aveva creato maggiore omogeneita' tra i codici dei due riti cioe' circa il presupposto della condanna al pagamento di una provvisionale alla parte civile in caso di condanna generica in favore di questa, presupposto individuato nel codice del rito civile nella gia' raggiunta prova di una parte della prestazione richiesta, parte alla quale la provvisionale doveva quantitativamente corrispondere. La mancanza di previsione analoga nel codice del rito penale del 1930 aveva dato luogo a problemi variamente risolti dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che non dovrebbero piu' avere spazio da quando il secondo comma dell'art. 539 del nuovo c.p.p. ha formulazione assai simile a quella del secondo comma dell'art. 278 del c.p.p., norma non modificata in occasione della riforma del 1990. Cio' in cui il legislatore del 1988, che ha nettamente innovato la regola del c.p.p. del 1930, ha finito inopinatamente anche per distaccarsi dal codice del rito civile di allora e' stato nello stabilire nel secondo comma dell'art. 540: "La condanna al pagamento della provvisionale e' immediatamente esecutiva". Si e' detto inopinatamente perche' quel legislatore, proprio ancorando la provvisionale allo unico presupposto della prova parziale del danno e, quindi, facendo di quella ad una provvisionale una condanna solo quantitativamente diversa da quella che esaurisce la domanda risarcitoria, ha inequivocabilmente escluso l'esistenza di ragioni capaci di dare supporto ad un trattamento diverso dei due tipi di condanna in ordine alla esecutivita'. La condanna ad una provvisionale risulta, lo si ribadisce, solo la conseguenza di una prova per una quantita' minore. La risposta all'interrogativo prima formulato dev'essere che resta del tutto ingiustificato ed irrazionale che alla condanna provvisionale si conferisca sempre e per legge quella immediata esecutivita' che non si conferisce alla condanna esaustiva. Si direbbe che il legislatore del 1988 abbia recepito ad amplificato incongruenze precedenti. Un'incongruenza vi era, infatti, nel codice del 1930 dopo la introduzione dell'art. 489- bis, norma tale da potere indurre la parte civile a contenere il proprio impegno probatorio per mirare all'ottenimento di una provvisionale assistita dalla provvisoria esecutivita', piuttosto che alla liquidazione definitiva che quella esecutivita' non avrebbe consentito. Altra incongruenza era contenuta nell'art. 282 del c.p.c., che criticabilmente equiparava la condanna al pagamento di provvisionale alla condanna a prestazioni alimentari e per entrambe prevedeva la concessione dell'esecuzione provvisoria, salvi "particolari motivi per rifiutarla" (questa riserva, tuttavia, consentiva al giudice l'eventuale valorizzazione dell'esistenza o della mancanza, in concreto, di analogie tra la prestazione oggetto della provvisionale e le prestazioni alimentari). Nel sistema derivante dalla riforma del rito civile, operata nel 1990, le condanne a provvisionale hanno trattamento omogeneo con le altre: tutte sono "provvisoriamente" esecutive e l'esecutivita' di tutte puo' essere sospesa dal giudice di appello per gli stessi "gravi motivi". Dalla ricognizione compiuta e', dunque, risultato che nel codice di procedura penale del 1988, come un riflesso di precedenti norme non rispondenti ad un chiaro disegno, si riscontra un diverso trattamento, quanto alla provvisoria (o immediata) esecutivita', delle pronunce di primo grado relative all'azione civile a seconda che esse contengano condanna esaustiva o condanna provvisionale ed e' risultato che questo diverso trattamento non si giustifica ed anzi e' irrazionale, dato che tra i due tipi di condanna vi e' solo una differenza quantitativa, secondo il chiaro dettato normativo sul punto. E' risultato, pure, che il codice di procedura civile, dopo le modifiche in esso introdotte nel 1990, elimina ogni diverso trattamento, quanto all'esecutivita', delle diverse categorie di sentenze di primo grado, perche' a tutte conferisce l'esecutivita' provvisoria. Si e' riscontrato che nel codice di procedura penale al diverso trattamento relativo all'esecutivita', prima specificato, delle condanne esaustive e di quelle provvisionali corrisponde nel secondo e terzo comma dell'art. 600 una diversa possibilita' per la parte, che ha subito la condanna, di ottenere dal giudice di appello, con decisione interlocutoria a seguito di un rito camerale, la sospensione della provvisoria esecutivita' della condanna stessa. Si e' riscontrato, inoltre, che a chi ha subito la condanna al pagamento di una provvisionale, esecutiva per legge, nell'ambito della rilevata diversita' e' riservato un trattamento deteriore, giacche' a detta parte e' data la possibilita' della sospensione dell'"esecuzione" solo in relazione alla prospettiva di un grave ed irreparabile danno, mentre a chi abbia subito una condanna al risarcimento esaustiva, che il giudice di primo grado abbia dichiarato provvisoriamente esecutiva, e' data la possibilita' della revoca o della sospensione della provvisoria esecuzione per ogni motivo che appaia al giudice di appello idoneo a sostenere il provvedimento, dato che la norma non pone limiti. Si e' riscontrato, infine, che il predetto trattamento, quanto alla possibilita' di sospensione della immediata esecutivita', riservato a chi nel processo penale abbia subito la condanna al pagamento di una provvisionale, risulta deteriore anche rispetto a quello che nel codice di procedura civile, come aggiornato nel 1990, e' riservato a chi abbia subito quel tipo di condanna ed ogni altro tipo di condanna provvisoriamente esecutiva benche' di primo grado. Secondo la disposizione aggiornata di detto codice, infatti, e' possibile la sospensione dell'efficacia esecutiva o della esecuzione "quanto ricorrono gravi motivi". Si tralascia, perche' non indispensabile ai fini di questa trattazione, ogni considerazione relativa alle implicazioni delle diversita' terminalogica per la quale nel terzo comma dell'art. 600 del c.p.p., cioe' nella norma che crea il deteriore trattamento che si e' detto, si fa menzione solo nella sospensione dell'esecuzione, mentre nel comma precedente si fa menzione oltre che della revoca, della sospensione della provvisoria esecuzione (si e' visto, pure, che nell'art. 283, novellato, del c.p.p. si menziona la sospensione dell'efficacia esecutiva o dell'esecuzione), ma va rimarcato che l'individuazione nel terzo comma dell'art. 600 del c.p.p. della categoria del danno grave ed irreparabile come parametro della possibile sospensione dell'esecuzione - e si intenda pure che la sospensione non venga ristretta alla sola esecuzione iniziata - crea alla concreta possibilita' di questa sospensione un ambito estremamente ristretto se non addirittura improbabile. L'antecedente terminologico della norma in esame e' dato dal primo comma dell'art. 373 del c.p.c., il quale dispone che il ricorso per cassazione non sospende l'esecuzione della sentenza ma aggiunge che l'esecuzione stessa puo' essere sospesa con ordinanza dal giudice che ha emesso la sentenza "qualora dall'esecuzione possa derivare grave ed irreparabile danno". Questa norma, sulla quale a causa della disposta inoppugnabilita' dell'ordinanza del giudice di merito non si e' potuta formare giurisprudenza della Cassazione, ha creato interrogativi circa la possibilita' di una sospensione disposta prima che l'esecuzione sia iniziata, ma soprattutto ha consentito solo rari accoglimenti dell'istanza di sospensione, perche' si e' ritenuto, sia pure non da tutti i giudici, che non possa aversi danno irreparabile ove la condanna da eseguire riguardi il pagamento di una somma di denaro. In effetti, le forme di danno, rispetto alle quali l'irreparabilita' puo' con sufficiente univocita' delinearsi, sono quelle che incidono sull'essere piuttosto che sull'avere. Se la categoria del danno grave ed irreparabile puo' risultare accettabile nella struttura di una norma, quale l'art. 373 del c.p.c., riguardante ogni sorta di sentenze e che conferisce la competenza sulla inibitoria allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza, al quale, quindi, e' opportuno demandare l'esame solo di fattori estrinsechi, come il danno, alla sentenza stessa, quella categoria risulta incongrua, a causa di quanto rilevato, nell'ambito di una norma che riguarda, come il terzo comma dell'art. 600 del c.p.p., solo statuizioni di condanna al pagamento di una somma di denaro, quali sono le provvisionali, e che comporta una competenza di un giudice diverso di quello della sentenza. Ne' appare indiscutibile che i dubbi circa la configurabilita' di un danno irreparabile, come conseguenza della esecuzione di una condanna al pagamento di una somma di danaro, debbano venire meno solo perche' la considerazione di quell'irreparabilita' e' entrata nella struttura di una nuova norma. Si era partiti dal chiedersi se la disparita' di trattamento in esame abbia un fondamento razionale ed il quesito puo', ormai, avere una risposta negativa. La previsione della possibilita' di sospensione con ordinanza del giudice di appello della provvisoria (o immediata) esecutivita' delle sentenze appellative, derivi detta esecutivita' da provvedimento del giudice di primo grado o direttamente dalla legge, per la costanza con cui e' entrata a far parte degli ordinamenti processuali, puo' essere considerata un principio giuridico. Il fondamento di questo principio risiede nella necessita' di contemperare l'esigenza della rapida tutela giudiziaria dei diritti violati e l'incertezza delle decisioni finche' non siano divenute de- finitive. Ne deriva che la scelta correlata alla valutazione probabilistica del consolidarsi di una decisione nei successivi gradi di giudizio e' bene che non sia irretrattabile ma consenta alla parte, che ne e' gravata, di ottenere una nuova valutazione in concreto da parte di un giudice (quello della impugnazione ove questa sia l'appello). Di cio' sono espressione le varie norme esaminate, che lasciano al giudice dell'inibitoria un ampio spazio decisorio perche' o non circoscrivono l'ambito dei motivi esaminabili o lo indicano con formule assai generiche come "giustificati motivi" e "gravi motivi". Anche l'ampio spazio decisorio del giudice dell'inibitoria si manifesta come principio ricorrente. Rispetto a questo si pone come eccezione l'art. 373 del c.p.c., ma trattasi di tipica eccezione confermativa della regola. Quell'articolo, come gia' visto, si riferisce solo alle sentenze impugnate col ricorso per cassazione, cioe' a sentenze che hanno esaurito le fasi di merito e che, quindi, hanno alta probabilita' di diventare definitive. Rispetto a queste si giustifica che la compressione dell'interesse alla rapida tutela dei diritti violati sia prevista solo a fronte della gravita' e della irreparabilita' delle conseguenze dell'esecuzione. Il presupposto del predetto art. 373 non ricorre affatto in relazione alle decisioni cui si riferisce il terzo comma dell'art. 600 del c.p.p., che pure risulta ritagliato, data la sua formulazione, sullo schema di quell'articolo. Sul presupposto del riferimento a sentenze soggette ad appello, gli unici termini omogenei di confronto del contenuto del predetto terzo comma sono il secondo comma dello stesso articolo, l'art. 489- bis del c.p.p. del 1930 in quanto ancora vigente e l'art. 283 del c.p.c. tanto nella originaria che nella nuova formulazione. Queste norme, capaci di fornire con la necessaria omogeneita' termini di raffronto in relazione al caso di sentenze appellate immediatamente esecutive o per disposto di legge o per statuizione del giudice, prevedono la possibilita' di sospensione da parte di giudice di appello per motivi non ristretti al pericolo di grave ed irreparabile danno, e per motivi, comunque, rispetto a questo piu' ampi ed eterogenei. Questa disparita' di trattamento, siccome non sorretta da alcuna ragionevole giustificazione, appare in contrasto con l'art. 3 della Costituzione e col principio di uguaglianza in esso sancito. La questione di costituzionalita', che investe il terzo comma dell'art. 600 del c.p.p. nella parte in cui limita la prevista possibilita' di sospensione dell'esecuzione della condanna al pagamento di una provvisionale al solo caso che possa derivarne grave ed irreparabile danno, puo' essere sollevato da questa corte in quanto rilevante ai fini della decisione sull'istanza di sospensione proposta dagli imputati. La dichiarazione di incostituzionalita' della predetta parte della norma consentirebbe, infatti, l'esame, ora precluso, di motivi addotti a sostegno dell'istanza.